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Liberare l'Italia
Debito pubblico
Ogni italiano ha l’equivalente di 33.000 euro di debito pubblico. Ecco come ridurlo.

Il problema
Nel corso della sua storia, l’Italia non è sempre stata fiscalmente irresponsabile. La situazione delle sue finanze pubbliche ha attraversato periodi difficili, come le due guerre mondiali e il periodo fascista, e periodi più felici, come i primi anni del Novecento e il secondo dopoguerra. Da metà anni Sessanta, però, una reinterpretazione “lassista” dell’articolo 81 della Costituzione ha cambiato il sistema di vincoli che agivano sui politici ed ha permesso un’esplosione dell’indebitamento. Durante i decenni successivi, nessuno è mai davvero riuscito a invertire questo pericoloso trend.
Ci ritroviamo a iniziare il 2013 con oltre 2.000 miliardi di debito pubblico ufficiale, circa il 126% del PIL. Se aggiungiamo anche le stime dei debiti commerciali della PA, arriviamo al 131%, in continua crescita.
In termini di interessi, questi alti livelli di debito pubblico costano ai contribuenti italiani circa 80 miliardi di euro ogni anno: più del 5% del Pil e circa il 10% del totale della spesa pubblica. Inoltre, un elevato rapporto debito su PIL pone gravi rischi sistematici e ci rende “osservati speciali” sui mercati finanziari. Abbiamo già visto nell’estate 2011, con lo spread in continua crescita, quanto rapidamente la situazione possa sfuggirci di mano.




La soluzione
Teoricamente esistono due modi per abbattere il debito pubblico. Il primo è ripagarlo man mano attraverso avanzi di bilancio maggiori del 4-5% all’anno. Questa strategia oggi in Italia non è praticabile perché rischia di forzare una stretta fiscale troppo pesante e per troppi anni. Il secondo modo è attraverso le dismissioni pubbliche. Lo Stato dispone di di un patrimonio totale stimato in 1.815 miliardi, di cui la maggior parte in immobili.
Escludendo opere d’arte e immobili effettivamente utilizzati dalla PA, otteniamo circa 400 miliardi di immobili effettivamente smobilizzabili dallo Stato.
Il primo problema da affrontare è che questi asset sono dispersi tra Stato, Regioni, Province e Comuni. Esiste quindi innanzitutto un problema organizzativo e di attribuzione dei ricavi dalla vendita. Un secondo problema consiste nell’impossibilità di smobilizzare tutti gli asset in tempi ragionevoli, diciamo una legislatura. Per vendere molti di questi beni è necessario intervenire sulla loro destinazione d’uso, sul piano regolatore, etc. Questi problemi riducono l’ammontare effettivamente smobilizzabile a circa 136 miliardi.
Nella pratica, il Tesoro dovrà innanzitutto censire tutti i beni cedibili e creare un’inventario. Verranno poi organizzate delle vendite pubbliche o aste aperte al maggior numero di partecipanti possibili durante le quali verranno messi sul mercato singoli cespiti o interi lotti. Se, per la peculiarità di alcuni beni, non si dovessero trovare compratori durante le aste, si potrà procedere con vendite private.
Un’altra proposta della relazione prevede un ruolo più attivo della CDP. In particolare gli enti locali hanno in essere oltre 80 miliardi di euro di debiti nei confronti di Cassa Depositi e Prestiti, che valgono tra i 5 e i 6 punti di debito pubblico. Con un’operazione di debt-equity swap si potrebbe ridurre rapidamente questo debito, consentendo agli enti locali attraverso la cessione degli immobili non utilizzati per fini istituzionali alla CDP in cambio dell’annullamento del debito. CDP sostituirebbe i prestiti concessi nelle attività con le quote di un fondo immobiliare in cui conferire come equity gli immobili ricevuti da alienare in un secondo momento. In termini quantitativi l’operazione di equity-debt swap ridurrebbe il debito pubblico di quasi 6 punti di PIL ed è un’operazione dalle tempistiche piuttosto rapide. Una volta creati i fondi, CDP potrebbe affidarne la gestione a privati, selezionati tramite una gara informata a criteri di trasparenza e coinvolgendo acquirenti non solo italiani.
Vi è poi una vasta galassia di società controllate dal settore pubblico che potrebbero essere valorizzate attraverso una politica di privatizzazioni.
Circa 135 miliardi potrebbero poi arrivare dalla vendita delle partecipazioni statali. Alcune di queste partecipazioni sono quotate, molte non lo sono. Questi processi non devono essere interpretati solo come modi di “fare cassa” ma come occasioni per intraprendere una vera e propria politica industriale volta alla liberalizzazione e all’apertura alla concorrenza di settori precedentemente monopolizzati dallo Stato.
In totale, è realistico pensare di poter alienare circa 271 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 5 anni. L’operazione aiuterebbe ad abbattere il debito pubblico e convincere i mercati della determinazione dell’Italia nel voler cambiare rotta. Potrebbe anche stimolare il PIL attraverso l’apertura alla concorrenza di interi settori e farebbe sicuramente risparmiare ai contribuenti miliardi di euro ogni anno in interessi sul debito pubblico.

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